Ci sono libri di fotografia che parlano a ciascuno di noi, che ci
propongono immagini che ci riportano a un’emozione che sentiamo di aver
provato, anche se non ricordiamo dove o quando. Sono fotografie che ci
fanno vedere qualcosa che abbiamo già visto, ma che da quella nuova
prospettiva, con quel diverso sguardo, ora è come se rivedessimo per la
prima volta: la prima volta di qualcosa che conosciamo già bene.
"Somewhere" di Luisa Menazzi Moretti è un libro fotografico che invita
lo spettatore a una complicità poetica, una complicità tra l’autrice e
lui stesso, per insieme dare un nuovo valore a quanto l’autrice ha
fissato sulla carta fotografica.
I colori, la luce, il taglio, avvicinano queste fotografie a ciò che può essere non solo visto, ma anche immaginato, ricreato attraverso lo sguardo; alle immagini di una natura colta nel suo particolare, fonte di serenità ma anche di inquietudine, pur tuttavia innocente, si susseguono le fotografie di parole che si stavano perdendo, strappate sui muri o dimenticate, dove l’arte fotografica viene utilizzata come strumento di documentazione e conservazione. Si prosegue poi con un lavoro sul cibo quale linguaggio assoluto, universale; l’autrice sceglie di utilizzare i giochi e le filastrocche dei bambini per ricordare, talvolta ammonendoci, i temi sociali e più incalzanti riguardanti la nutrizione.
Il viaggio di Luisa Menazzi Moretti continua in una sequenza di immagini dedicate alla simbologia della forma circolare, dove lo sguardo muta la forma in idea, visione. Infine, la più recente serie fotografica, Solo, che forse, come scrive Valerio Dehò,“rappresenta al meglio la sensibilità dell’artista per quel qualcosa che non possiamo nominare esplicitamente, che è appunto ineffabile, ma che possiamo soltanto collocare in un altrove che vuol dire semplicemente che non è qui, vicino a noi . La morte apre a delle domande che sono sospese sul destino dell’uomo da sempre. Nelle sue immagini, non c’è nulla di tragico se non l’idea di un viaggio verso l’ignoto.